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Media Service: Il CIO confrontato con le sue contraddizioni interne

Bern (ots)

Anche grazie agli sforzi di mediazione del Comitato olimpico internazionale (CIO), gli sportivi di Corea del Nord e del Sud sfileranno assieme nella cerimonia inaugurale a Pyeongchang. Se sia compito del CIO fungere da paciere nell'ambito di conflitti politici è una questione che suscita sempre ampi dibattiti in Svizzera. «Le Olimpiadi ci mostrano il mondo così come tutti vorremmo che fosse. Lo spirito olimpico è fatto di rispetto, dialogo e comprensione», ha ricordato il presidente del CIO Thomas Bach a termine di un incontro, tenuto alcune settimane fa a Losanna, tra i governi e i rappresentanti dei comitati olimpici di Corea del Sud e Corea del Nord. Le due delegazioni hanno deciso infatti di far sfilare i loro atleti, tra cui 22 saranno nordcoreani, sotto un'unica bandiera.

Con questa decisione si perseguono gli obiettivi della Carta olimpicaLink esterno, secondo cui i Giochi devono riunire gli atleti in un unico luogo, superando così tutte le frontiere e favorendo «un mondo migliore e più pacifico». È un'idea che le nazioni non veicolano però durante le competizioni sportive e che non trova riscontro nella Realpolitik. Moon si è inimicato i tifosi Non tutti del resto hanno accolto favorevolmente la decisione presa a Losanna. Dopo aver annunciato di voler scendere in campo con un'unica compagine coreana di hockey su ghiaccio femminile, il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in ha visto crollare la sua popolarità. Anche i suoi sostenitori, che nel maggio del 2017 lo avevano votato perché vedevano in Moon l'artefice di un futuro avvicinamento delle due Coree, gli hanno ora girato le spalle di fronte alle scarse possibilità di vincere una medaglia con la squadra di hockey. «Simili decisioni hanno un effetto molto limitato. Le reazioni dei sudcoreani sono lì a dimostrarlo» dice Samuel Guex del Dipartimento di studi dell'Est asiatico presso l'Università di Ginevra. «L'idea di far giocare assieme le giocatrici delle due Coree ci può sembrare, di primo acchito, una buona idea, ma il prezzo sportivo che i sudcoreani devono pagare è troppo alto».

Contatto:

Kathrin Ammann
+41 31 350 97 85
Kathrin.Ammann@swissinfo.ch

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